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Alleanza contro la povertà su dati Istat

    Alleanza contro la povertà su dati Istat

    ALLEANZA CONTRO LA POVERTA’ IN VENETO
    Più poveri assoluti, criticità per le famiglie numerose e gli stranieri.
    Serve un rinforzato impegno nei percorsi di inclusione sociale e una riflessione sulle dinamiche del mercato del lavoro “drogate” dalle misure straordinarie messe in atto con la pandemia.

    I dati diffusi nei giorni scorsi dall’Istat confermano non solo le stime fornite ad inizio marzo ma anche l’esperienza concreta che le nostre organizzazioni aderenti all’Alleanza contro la povertà in Veneto vivono quotidianamente dallo scoppio della pandemia. Qui a Nord Est, seppure in misura più contenuta rispetto a Nord Ovest, si registra la crescita maggiore dell’incidenza della povertà assoluta familiare che sale al 7,6% dal 5,8% del 2019. Ed anche in termini di individui il peggioramento è più marcato, passiamo dal 6,8% al 8,2%.

    Alcuni elementi in particolare colpiscono.

    Innanzitutto, al netto della precisazione metodologica fatta dallo stesso Istat sulla variazione dei parametri per monitorare la povertà relativa che sembra rimanere sostanzialmente inalterata nelle percentuali a Nord (6,3%), lo scivolamento di migliaia di persone nella fascia della povertà assoluta racconta di una società che continua ad allargare il divario tra chi ce la fa e chi resta indietro. Le misure di sostegno straordinarie messe in campo hanno tamponato la situazione per quanti si trovavano in posizioni precarie ma non di grave disagio; tuttavia non sono riuscite a frenare il peggioramento delle condizioni di vita di oltre 2 milioni e 500 mila poveri, che nel contesto di una situazione pandemica imprevedibile non hanno avuto risorse e strumenti per evitare la caduta.

    Tra loro, ci preoccupa il fatto che peggiorano le condizioni delle famiglie con più figli, segno ancora una volta in più, del fatto che i figli in Italia rappresentano “un costo” e non un valore e che sono uno degli elementi, purtroppo, di criticità quando si verificano periodi di crisi straordinarie. La misura dell’assegno unico universale potrà senza dubbio sostenere la ripartenza ma da sola evidentemente non avrà la forza di far uscire dalla povertà tante famiglie numerose.

    Tra esse - è questo un elemento da sottolineare - l’incidenza di quelle straniere è molto alta: sono il 28,3% ma rappresentano l’8,6% del totale delle famiglie. Ancora una volta si conferma l’altro dato di criticità che spesso ritorna nelle analisi sulla povertà in Italia: una parte della popolazione immigrata, per mancanza di risorse proprie, redditi da lavoro generalmente più bassi, scarse competenze professionali, abitazioni in affitto, si trova a vivere dentro alle crisi con maggiore difficoltà.

    Le situazioni di povertà assoluta sono di solito le più “complesse” da sostenere perché richiedono una coralità e un coordinamento degli interventi che favoriscano l’empowerment della persona o della famiglia. Per questo è urgente ribadire con forza la necessità di potenziare i servizi sociali su tutto il territorio, per assicurare una adeguata presa in carico e l’attivazione di percorsi di inclusione sociale che rispondano ai bisogni delle persone sulla base di attente analisi multidimensionali (senza cadere in tecnicismi o, peggio, perdere di vita l’umano). Questa azione è fondamentale, e ad essa si deve sommare il rafforzamento del Reddito di Cittadinanza e la sua integrazione con l’assegno unico e universale.

    Ma c’è anche un altro aspetto su cui Alleanza crede necessario porre l’attenzione: i dati economici ed occupazionali riferiti al nostro Veneto raccontano di un crollo del Pil (-9,3% nel 2020) nei mesi acuti della pandemia ma anche di una veloce ripartenza (al primo trimestre 2021 la produzione industriale è cresciuta del +11%). Secondo Veneto Lavoro la pandemia ha comportato un saldo occupazionale di -11.400 posizioni di lavoro dipendente, soprattutto per contratti di lavoro stagionale e a termine nel settore turistico, nel commercio al dettaglio, nel tessile abbigliamento. Le misure messe in campo dal Governo hanno mantenuto pressoché costante il dato dei contratti a tempo indeterminato. Secondo recenti indagini di Unioncamere la quasi totalità delle imprese non prevede licenziamenti dei dipendenti. Solo il 7,1% pensa di andare incontro a questa ipotesi.

    In altre parole, la ripresa pare essere già avviata e auspichiamo possa incidere sul tasso di povertà relativa che registriamo oggi, permettendo a molti di rientrare attivamente nel mondo del lavoro.

    Varrebbe la pena tuttavia riflettere su quanto le misure straordinarie di sostegno messe in campo in questo anno e mezzo, unite per tanti ancora all’erosione degli ultimi risparmi accantonati negli anni e alle possibilità di lavoricchiare in modo non del tutto regolare (in nero), hanno inciso sulla “tenuta” di situazioni altrimenti critiche ma anche sulle scelte di attendere tempi migliori per reimmaginare il proprio futuro lavorativo, e non solo.

    Quello che è certo è che c’è, da questa prospettiva, un problema di offerta di lavoro specializzato che supera la domanda, e lo leggiamo in questi giorni sui quotidiani; un problema di formazione aziendale continua e di riqualificazione dei lavoratori che hanno perso il lavoro; ed un problema di orientamento al lavoro delle nuove generazioni. Tutti temi che andranno necessariamente presto affrontati.

    Venezia, 18 giugno 2021

    Cristian Rosteghin
    Portavoce Alleanza contro la povertà in Veneto

    Il Tavolo regionale dell’Alleanza contro la povertà in Veneto è composto da: Acli Sede Regionale del Veneto, Anci Veneto, Associazione Banco Alimentare del Veneto onlus, Azione Cattolica delegazione veneta, Caritas delegazione veneta, CGIL Veneto, CISL Veneto, UIL Veneto, CNCA, Confcooperative -Federsolidarietà Veneto, Federazione Nazionale Società di San Vincenzo de Paoli – Coordinamento Interregionale Veneto Trentino, Federazione Italiana Organismi Persone Senza Dimora, Forum Regionale del Terzo Settore, Sant’Egidio, Save the Children, Umanità nuova – Movimento dei Focolori.

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    Istat: cresce al nord la povertà assoluta

      Istat: cresce al nord la povertà assoluta
      Le previsioni dell'Istat uscite a marzo sono ora confermate dai dati. La povertà assoluta cresce, soprattutto qui al Nord e arriva al 7,6% (era il 5,8% nel 2019).
      Numeri ma in realtà volti, persone, storie, che anche le nostre Acli incontrano nei percorsi di inclusione sociale.
      La fraternità resta, per noi, la chiave di svolta. Insieme ad alcune misure che Alleanza contro la povertà in Italia rilancia al Governo.

      In Italia nel 2020, anche causa pandemia, torna a crescere la povertà assoluta che tocca poco più di due milioni di famiglie (7,7% del totale da 6,4% del 2019) e oltre 5,6 milioni di individui (9,4% dal 7,7% dell'anno precedente). Lo comunica l'Istat evidenziando come dopo il miglioramento del 2019, nell’anno della pandemia la povertà assoluta aumenta raggiungendo il livello più elevato dal 2005, quando è iniziata questa rilevazione.

      Per quanto riguarda la povertà relativa, le famiglie sotto la soglia sono poco più di 2,6 milioni (10,1%, da 11,4% del 2019).

      Nel 2020, continua l'istituto di statistica, l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta si conferma più alta nel Mezzogiorno (9,4%, da 8,6%), ma la crescita più ampia si registra nel Nord dove la povertà familiare sale al 7,6% dal 5,8% del 2019. Tale dinamica fa sì che, se nel 2019 le famiglie povere del nostro Paese erano distribuite quasi in egual misura al Nord (43,4%) e nel Mezzogiorno (42,2%), nel 2020 arrivano al 47% al Nord contro il 38,6% del Mezzogiorno, con una differenza in valore assoluto di 167mila famiglie.

      Anche in termini di individui è il Nord a registrare il peggioramento più marcato, con l’incidenza di povertà assoluta che passa dal 6,8% al 9,3% (10,1% nel Nord-ovest, 8,2% nel Nord-est). Sono così oltre 2 milioni 500mila i poveri assoluti residenti nelle regioni del Nord (45,6% del totale, distribuiti nel 63% al Nord-ovest e nel 37% nel Nord-est) contro 2 milioni 259mila nel Mezzogiorno (40,3% del totale, di cui il 72% al Sud e il 28% nelle Isole). In quest’ultima ripartizione l’incidenza di povertà individuale sale all’11,1% (11,7% nel Sud, 9,8% nelle Isole) dal 10,1% del 2019; nel Centro è pari invece al 6,6% (dal 5,6% del 2019).

      Per classe di età, spiega l'Istat, l’incidenza di povertà assoluta raggiunge l’11,3% (oltre 1 milione 127mila individui) fra i giovani (18-34 anni); rimane su un livello elevato, al 9,2%, anche per la classe di età 35-64 anni (oltre 2 milioni 394mila individui), mentre si mantiene su valori inferiori alla media nazionale per gli over 65 (5,4%, oltre 742mila persone).

      Rispetto al 2019 la quota di famiglie povere cresce a livello nazionale in tutte le tipologie di comune, ma se al Nord aumenta - da 6,1% a 7,8% - nei comuni fino a 50mila abitanti e nei comuni periferia delle aree metropolitane e comuni da 50.001 abitanti (dal 4,8% al 7,0%), nel Centro a peggiorare sono le condizioni delle famiglie residenti nei centri area metropolitana (l’incidenza passa dal 2,0% al 3,7%). Al Sud, infine, il peggioramento più forte si registra nei comuni più piccoli, con una incidenza di povertà che cresce, dal 7,6% al 9,2%, nei comuni fino a 50mila abitanti (diversi dai comuni periferia area metropolitana).

      L'Istat segnala comunque come l'"intensità" della povertà assoluta - che valuta quanto la spesa mensile delle famiglie povere è in media al di sotto della linea di povertà (cioè 'quanto poveri sono i poveri') - registra una riduzione (dal 20,3% al 18,7%) in tutte le ripartizioni geografiche. Un risultato, si spiega, "frutto anche delle misure messe in campo a sostegno dei cittadini (reddito di cittadinanza, reddito di emergenza, estensione della Cassa integrazione guadagni, ecc.) che hanno consentito alle famiglie in difficoltà economica - sia quelle scivolate sotto la soglia di povertà nel 2020, sia quelle che erano già povere - di mantenere una spesa per consumi non molto distante dalla soglia di povertà".

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      Firmato il protocollo del progetto del fondo diocesano "Sta a noi"

        Firmato il protocollo del progetto del fondo diocesano "Sta a noi"

        La firma del protocollo d’intesa si è tenuta lunedì 14 giugno nel salone del Vescovado di Treviso.

        Erano presenti il vescovo Michele Tomasi, il direttore della Caritas Tarvisina, don Davide Schiavon e i rappresentanti dei soggetti coinvolti e interessati a far crescere il progetto nel territorio. Tra essi anche le Acli di Treviso che hanno partecipato fin dalla costituzione del gruppo di lavoro del Fondo.

        Definiti nel dettaglio obiettivi e compiti di tutti i soggetti coinvolti. 

        Il progetto “Sta a noi – per un patto di comunità”, a due mesi dal lancio nel momento della Pasqua, vede ora la firma di un Protocollo d’intesa ufficiale che definisce nel dettaglio obiettivi e compiti di tutti i soggetti coinvolti.

        La firma del protocollo d’intesa si è tenuta lunedì 14 giugno nel salone del Vescovado di Treviso. Erano presenti il vescovo Michele Tomasi, il direttore della Caritas Tarvisina, don Davide Schiavon e i rappresentanti dei soggetti coinvolti e interessati a far crescere il progetto nel territorio: Acli provinciali di Treviso, di Venezia e di Padova, Camera di Commercio, Industria, Artigianato, Agricoltura di Treviso e Belluno, Centro della famiglia Istituto di cultura e pastorale di Treviso, CNA Associazione Territoriale di Treviso, Confartigianato imprese di San Donà di Piave, Confartigianato Marca Trevigiana, Confcommercio del Miranese, Confcommercio Imprese per l’Italia ASCOM Padova, Confcommercio San Donà di Piave – Jesolo, Confesercenti di Treviso, Federmanager Treviso Belluno, Rotary Club di Treviso e UCID sezione provinciale di Treviso e Unascom Confcommercio di Treviso.

        Ha aperto l’incontro il vescovo Michele, che ha fatto memoria di com’è nata questa iniziativa diocesana in un “periodo di difficoltà, inedito, che ci chiede e ci permette di mettere a valore sempre maggiore tutto ciò che funziona e funzionava bene nel nostro tessuto sociale”. L’iniziativa è stata spinta dall’inizio dal Vescovo come azione concreta di solidarietà, con il forte desiderio di mettere in moto la Chiesa di Treviso, che ha messo a disposizione la propria rete, insieme a tutti gli altri soggetti (istituzioni, associazioni, imprese, cittadini) per offrire questa modalità di ascolto del territorio e di risposta solidale alle difficoltà di famiglie e imprese in seguito alla pandemia da Covid 19. “La dedizione convergente di tante istituzioni a servizio del bene comune è segno di speranza in un tempo di prova, in cui la ricerca del bene di tutti è garanzia della possibilità di sviluppo e di crescita di ciascuno. E’ questo il servizio che ci è concesso insieme di dare” ha sottolineato mons. Tomasi.

        Il progetto diocesano di solidarietà “Sta a noi – Per un patto di comunità”, che prevede un “Fondo di comunità” e di “Microcredito per le imprese”, è nato a sostegno delle famiglie e delle attività economiche che stanno maggiormente soffrendo per le conseguenze della pandemia. È partito con una dotazione iniziale, assicurata dalla Diocesi di Treviso, di 550 mila euro, derivanti soprattutto dai fondi dell’8xMille, che è stata incrementata in queste settimane dalle numerose donazioni di famiglie, parrocchie, aziende e gruppi, per un importo di circa 66 mila euro (dati al 10 giugno).

         

        Don Davide Schiavon, direttore della Caritas Tarvisina che ha un ruolo operativo nell’iniziativa, ha ricordato come diversi uffici diocesani hanno lavorato insieme da settembre. Inoltre ha spiegato come sono circa 200 i volontari coinvolti, gli Operatori fiduciari, che fanno riferimento alla Caritas diocesana e alle Acli provinciali e incontrano negli sportelli le persone in difficoltà, e le Famiglie-sentinella, che sono seguite dall’Ufficio di Pastorale Familiare e hanno un ruolo fondamentale nella costituzione della rete territoriale.

        Quasi tutti i presidenti o i rappresentanti dei soggetti firmatari sono intervenuti nell’incontro in Vescovado per esprimere la propria adesione e il plauso per l’iniziativa, assicurando sostegno e ulteriore collaborazione per far crescere il progetto.

         

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        Fine del blocco dei licenziamenti

          In questi giorni il nostro Ufficio lavoro riceve molteplici richieste in merito alla fine del blocco dei licenziamenti.

          Proviamo a fare chiarezza sul tema.

          Fino al 30 giugno nessuna azienda potrà licenziare per giustificato motivo oggettivo.

          Dal 1° luglio 2021 non possono licenziare:

          • Le aziende che presenteranno domanda di cassa integrazione ordinaria o straordinaria per tutta la durata del trattamento di integrazione salariale fruito comunque entro il 31 dicembre 2021.
          • Fino al 31 ottobre 2021 le aziende che rientrano nel campo di applicazione dell’ Assegno ordinario (Fis e Fondi di solidarietà bilaterali) e della Cig in deroga a prescindere dalla fruizione effettiva.

          I licenziamenti intimati in violazione del divieto imposto da ultimo dal Decreto Sostegni bis del 25 maggio 2021 sono nulli e comportano la reintegra in azienda del lavoratore interessato e la condanna, per il datore di lavoro, al risarcimento del danno subito.

          Sono invece sempre possibili i licenziamenti in caso di:

          • Giusta causa o giustificato motivo soggettivo, cioè dovuti ad una grave inadempienza del lavoratore
          • Cessazione attività dell’impresa o messa in liquidazione
          • Fallimento
          • Cambio di appalto con riassunzione a seguito del subentro di nuovo appaltatore
          • Mancato superamento del periodo di prova
          • Superamento del periodo di comporto in caso di malattia
          • Accordo collettivo aziendale di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro
          • Raggiungimento dei limiti di età ai fini della pensione di vecchiaia
          • Contratto di dirigente
          • Interruzione dell’apprendistato al termine del periodo formativo
          • Rapporto di lavoro domestico
          Una famiglia deve avere una casa dove abitare, una fabbrica dove lavorare, una scuola dove crescere i figli, un ospedale dove curarsi e una chiesa dove pregare il proprio Dio

          Giorgio La Pira