Supplemento di pensione: requisiti e arretrati
Il Patronato nasce con la funzione di assistere lavoratori e cittadini per far conoscere, promuovere, difendere i loro diritti e rappresentarli facendoli valere verso altri soggetti, pubblici (ad es. l’Inps o l’ Inail) e privati (ad esempio l’Enasarco).
Uno degli interlocutori principali di tale attività di assistenza e rappresentanza è l’Inps, che ormai da anni ha imposto l’obbligo di presentare qualsiasi tipo di richiesta in via telematica, quindi dotandosi di un pin per accedere al sito direttamente dal computer di casa.
SOLO PRATICHE IN VIA DIGITALE
La telematizzazione degli accessi all’Istituto nazionale di previdenza ha comportato un aumento esponenziale dell’afflusso ai nostri uffici:nel 2015 nei 563 uffici del Patronato Acli in Italia sono entrate 1.639.000 persone, 886 ogni ora.
Questo perché tale telematizzazione è nata con i migliori propositi (comodità, trasparenza, cittadinanza attiva) ma non con i migliori presupposti: un sito www.inps.it complicato, un codice pin irraggiungibile, un call center Inps talora impreparato. Il risultato è che i cittadini si riversano nei nostri uffici per far valere legittimi e svariati diritti.
Il fatto di doverci occupare di una gamma amplissima di prestazioni (maternità, naspi, anf, naspicom, anfcolf, invalidità, verifiche contributive etc) in quantità enormi (2.363.268 prestazioni ottenute nel 2015 dal Patronato Acli) non ci ha però impedito di coltivare la formazione in modo costante e approfondito per rafforzare la nostra professionalità .
In questa situazione complessa riusciamo a trovare il modo per svolgere pienamente la funzione di assistenza e tutela che ci appartiene: citiamo un caso.
IL SUPPLEMENTO DI PENSIONE
Parliamo del supplemento di pensione, ovvero di quel ricalcolo che viene effettuato su pensioni già liquidate in virtù del fatto che il pensionato abbia ripreso a lavorare dopo il pensionamento e abbia quindi continuato a versare contributi all’Inps.
Questo accade molto spesso, o perché il pensionato non vuole uscire completamente dal mondo del lavoro, o perché l’azienda stessa per cui ha lavorato richiede un ulteriore apporto alla persona con la quale ha collaborato per magari molto tempo.
Diversamente da quanto pensano in molti, il supplemento non è riconosciuto d’ufficio dall’Inps, ma è azionabile su domanda specifica dell’interessato. La normativa prevede che questo ricalcolo possa essere chiesto, a prescindere da quanto effettivamente il soggetto abbia lavorato, a condizione che siano trascorsi almeno 5 anni dalla data di decorrenza della pensione o del precedente supplemento, oppure dopo 2 anni se si è già compiuta l’età necessaria per la pensione di vecchiaia prevista nella relativa gestione (questa facoltà può essere utilizzata una sola volta).
Di norma la domanda di supplemento porta ad un aumento dell’importo percepito, ma nei casi che vogliamo citare è capitato che agli interessati l’Inps abbia comunicato il sorgere di debiti: di fatto, nel richiedere una ricostituzione di pensione l’Istituto nazionale di previdenza procede contestualmente alla verifica della stessa e di eventuali precedenti supplementi già liquidati.
IL RICALCOLO DEGLI ARRETRATI
Può dunque capitare che vi siano errori nel conteggio dei supplementi, soprattutto in virtù di dati reddituali non definitivi, ed è naturale che l’Inps provveda alla rettifica dell’importo. Ciò che non è invece corretto è il fatto che l’Istituto richieda al pensionato di pagare gli arretrati del ricalcolo.
E’ l’articolo 2033 del Codice civile a disciplinare in via generale il diritto alla riscossione dei crediti e quindi il diritto dell’Istituto di riscuotere ciò che gli spetta in virtù del ricalcolo.
Tuttavia, nel corso del tempo, il diritto alla loro ripetizione è stato disciplinato da norme che, derogando al principio di carattere generale stabilito dall’articolo 2033 c.c., hanno regolamentato la sanatoria di molte indebite erogazioni di prestazioni pensionistiche.
L’art. 13 della legge 412/1991 ad esempio prevede la sanatoria per lesomme non dovute, erogate dall’Inps in base a un provvedimento formale e definitivo: il provvedimento, perché gli importi non siano ripetibili, deve risultare viziato da un errore di qualsiasi natura imputabile all’Istituto, escluse le ipotesi in cui l’indebita percezione è dovuta a dolodell’interessato.
La norma prevede invece la restituzione degli indebiti qualora il pensionato sia a conoscenza di fatti che incidono sul diritto alla pensione o sulla sua misura e non li segnali, a meno che l’ente non fosse già informato.
IL RICORSO IN CASO DI ERRORI
La richiesta di pagamento di arretrati in seguito a errore da parte dell’Istituto si è verificata spesso e il Patronato Acli, nei casi in cui vi erano i presupposti, ha presentato dei ricorsi contro questi provvedimenti perché, se l’Inps ha commesso un errore non può essere il cittadino a pagarne le conseguenze. L’Inps deve giustamente correggere l’importo di pensione, se sbagliato, ma non può chiedere gli arretrati al pensionato a meno che questi non abbia agito con dolo per omessa o incompleta segnalazione di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della prestazione goduta.
In questi tre casi siamo riusciti, tramite ricorsi ovviamente telematici, a far annullare debiti di cifre consistenti: dai 1.450 euro di un caso ai 998 di un altro.
Conciliare una competenza approfondita su materie complesse e svariate con la quantità di prestazioni che ci sono richieste non è evidentemente facile, ma per svolgere appieno il nostro ruolo di soggetto promotore di diritti è indispensabile.