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Primo maggio: "Un lavoro dignitoso per tutti"

    Primo maggio: "Un lavoro dignitoso per tutti"

    PER UN LAVORO DIGNITOSO, PERCHE’ CONVIENE A TUTTI CHE TUTTI STIANO BENE - 1° MAGGIO 2021

    Un virtual flash mob, quattro diversi appuntamenti su tutto il territorio provinciale, un documento di approfondimento congiunto con le Acli di Venezia e una proposta concreta di solidarietà. Sono le azioni messe in campo dalle Acli di Treviso in occasione del 1° maggio Festa del Lavoro.

    Non solo lavoro, ma soprattutto lavoro “buono”, “giusto”, cioè dignitoso; perché conviene a tutti che tutti stiano bene. Questo il messaggio che le Acli provinciali di Treviso ribadiscono in occasione del primo maggio, Festa del Lavoro, alla luce della propria esperienza concreta negli uffici di Patronato e nei progetti di inclusione sociale.

    E lo fanno con diverse iniziative: un virtual flash mob che ribadisce l’importanza del lavoro dignitoso per tutti, la partecipazione e animazione di quattro messe a Solighetto, Susegana, Cornuda e San Donà di Piave, due delle quali con i Vescovi di Treviso e Vittorio Veneto, una proposta concreta di solidarietà a tutti i lavoratori e un documento congiunto.

    Tiene il trevigiano, con molti distinguo. “Il territorio trevigiano ha ovviamente risentito, e non poco della situazione pandemica, proprio nel momento in cui aveva recuperato ed implementato i livelli occupazionali presenti prima della crisi innescata dalla bolla finanziaria del 2008 – spiega nel documento Alessandro Pierobon, presidente provinciale Acli -. La pandemia ha inferto un duro colpo al sistema produttivo trevigiano 2020, soprattutto a causa della caduta di domanda interna ed estera, conseguente alle misure di contenimento introdotte. Ovviamente i settori più colpiti sono stati i servizi turistici, il commercio al dettaglio, il tessile abbigliamento, la logistica, l’occhialeria”. A preoccupare le Acli di Treviso non c’è solo lo spettro drammatico della disoccupazione ma anche il peggioramento della qualità del lavoro, in termini di natura dei contratti, demansionamenti, retribuzioni, specie in alcuni comparti.

     Lavoratori tutelati, lavoratori senza tutele. Pur essendo sempre valida l’idea che la pandemia ci abbia fatto riscoprire il fatto di “essere tutti sulla stessa barca”, è evidente come i passeggeri di questa simbolica imbarcazione stiano navigando in classi ben differenti. A fronte di un comune senso di incertezza e preoccupazione, il prezzo più alto della crisi economica è stato finora pagato dai lavoratori più fragili e meno tutelati, titolari di rapporti di lavoro precari e non continuativi. Mentre per i lavoratori dipendenti provvedimenti quali il blocco dei licenziamenti e la cassa integrazione hanno rappresentato e rappresentano un’importante garanzia, anche a livello reddituale, tutti coloro che hanno lavori o contratti di tipo più o meno precario (tempi determinati, stagionali, collaboratori, autonomi, …) si sono ritrovati, al netto dei discontinui e insufficienti bonus e ristori, privi di tutele, in particolare dal punto di vista economico. Senza contare i problemi, forzatamente non visibili, di tutti coloro che sono impiegati, spesso non per scelta, in attività lavorative informali o sommerse.

    Non solo un lavoro, ma un giusto lavoro. “Diversi sono ancora i diritti da acquisire – prosegue Pierobon -; tra tutti, ci pare urgente la necessità di alimentare e sostenere un pensiero effettivo e concreto sul capitale umano impiegato nelle nostre piccole e medie imprese, sul suo valore intrinseco e su quanto in termini di risorse e capacità, può portare nel mondo del lavoro per contribuire alla crescita dell’azienda e del territorio che abita. Le nostre realtà investono molto sugli strumenti, sulle macchine, ma quanto realmente credono e investono sul lavoratore?”. Registriamo continuamente ai nostri uffici situazioni di persone che lavorano durante i periodi di cassa integrazione, che non vengono pagati per gli straordinari, che sono demansionati rispetto ai propri profili formativi ed occupazionali. La percezione è che sempre più il lavoro imponga una riduzione iniqua dei tempi di vista senza un reale corrispettivo economico. Poi ci stupiamo se, in particolare i giovani, emigrano all’estero in cerca di soluzioni lavorative, e dunque di vita, migliori.

    La centralità del lavoro. I provvedimenti e decreti emanati in questi mesi, pur con i loro limiti, hanno sicuramente contribuito a dare una risposta minima all’emergenza economica. Ma tale risposta resta comunque insufficiente, come testimoniano le statistiche sull’aumento della povertà assoluta e relativa nel nostro paese, in particolare nelle regioni del Nord. “A fronte di ciò, ribadiamo con forza che l’unica vera uscita dalla crisi è l’investimento sul lavoro. Da un punto di vista macroeconomico, ridare alle persone la possibilità di guadagnarsi da vivere in modo equo e sufficiente è fondamentale per dare fiato ad un welfare state altrimenti insostenibile. Non solo, la mancata consapevolezza dei propri diritti da parte del lavoratore, congiuntamente alla parcellizzazione e all’individualizzazione tipica di questo nostro tempo, non agevola lo sviluppo di lavoro dignitoso, “buono”, per ciascuno e per tutti”.

    Una solidarietà tra lavoratori. E’ per questo che le Acli di Treviso propongono la strada di una nuova solidarietà tra lavoratori, per contribuire a ridurre dal basso le disuguaglianze. Attraverso la possibilità di un contributo volontario e libero, tutti coloro che non hanno sofferto gli effetti economici della pandemia possono offrire un sostegno a chi invece è maggiormente in difficoltà. Anche dal punto di vista simbolico, il mettere a disposizione  una quota del frutto del proprio lavoro a favore di chi il lavoro non ce l’ha può essere il modo di ritessere il tessuto delle nostre comunità, fatalmente indebolito e sfilacciato dalla pandemia. Pensiamo soprattutto al Fondo di Comunità, istituito dalla Diocesi di Treviso proprio a favore di singoli e famiglie in difficoltà economica a causa della pandemia.

    “Questa esperienza rappresenta in modo efficace quanto la società civile ed ecclesiale hanno saputo mettere in campo come risposte concrete a quel bisogno essenziale di comunità, reti di relazioni, fratellanza cui le stesse nostre Acli tendono costantemente nel loro agire quotidiano e che sole possono offrirci la possibilità di tornare a credere nel futuro, percepito non come minaccia e mancanza di promesse ma come percorso foriero di bene e di sviluppo”.

    Questo riguarda tutti ed è il motivo per cui lo slogan lanciato per il primo maggio 2021 dalle Acli è “per un lavoro dignitoso: perché conviene a tutti che tutti stiano bene”.

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    Una famiglia deve avere una casa dove abitare, una fabbrica dove lavorare, una scuola dove crescere i figli, un ospedale dove curarsi e una chiesa dove pregare il proprio Dio

    Giorgio La Pira