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Ambiente: quando agiremo il cambiamento, prima che sia tardi?

    Ambiente: quando agiremo il cambiamento, prima che sia tardi?

    La Terra continua a gridare con forza, trasformata in una distesa inquinata di macerie, deserti e sporcizia. Non è procrastinabile un rinnovato impegno a custodirla e “coltivarla” con rispetto ed equilibrio
    Andrea Citron, Consigliere Acli nazionali con delega all’Ambiente

    In questi giorni, in occasione dei risultati elettorali americani, ho riflettuto su uno dei tanti slogan circolati sui social: “Con Donald Trump l’ambientalismo subisce un durissimo colpo”. E mi son chiesto: ma cosa ha fatto chi ha preceduto Trump di particolarmente significativo per l’ambiente in America, come in tutti gli altri paesi del mondo?

    Pochetto direi. Spesso grandi propositi, fatti meno. Se, mentre l’economia globale, gli abitanti della terra, l’estrazione delle risorse naturali e l’inquinamento crescono, le dimensioni del pianeta restano uguali. Tanto che il cosiddetto overshoot day quest’anno è arrivato l’8 agosto, cinque giorni prima rispetto al 2015. Si tratta del giorno in cui gli interessi della natura, cioè tutta la produzione annua rinnovabile, dalla flora alla fauna, è stata consumata; costringendoci a vivere di rendita per i restanti giorni dell’anno e andando a intaccare risorse non più rinnovabili, sottraendole quindi alla disponibilità dei nostri figli. Generazioni future che invece potranno ampiamente godere degli effetti di questo atteggiamento irresponsabile: cambiamenti climatici, perdita di biodiversità, mancanza di suolo e inquinamento.

    Per il nostro paese il “giorno del sovra sfruttamento”, vivendo l’Italia ben quattro volte al di sopra delle proprie risorse ecologiche interne, è arrivato ai primi di aprile.

    Il negazionismo - rispetto all’incidenza dei cambiamenti climatici e alle responsabilità dell’uomo - del nuovo presidente degli Stati Uniti potrà sicuramente continuare a danneggiare ciò che già la poca consapevolezza o scarsa volontà degli altri leader mondiali ha portato al limite estremo prima dell’irreparabile.

    Di fronte ai segnali di ciò che sta cambiando in maniera inequivocabile e drammaticamente rapida, basti pensare ai record positivi nelle temperature già toccati a livello planetario nei primi sei mesi dell’anno, ci sono ancora indizi troppo timidi di un ravvedimento che faccia intravedere un’inversione di rotta: data la situazione questa non dovrebbe che essere decisa e priva del minimo tentennamento.

    E’come se tutto passasse inosservato, nell’indifferenza della politica e dei cittadini, mentre il limite dell’irreversibilità della crisi ambientale si avvicina pericolosamente.

    L’Accordo preso nella Cop 21 di Parigi lo scorso dicembre, che prevede l’impegno a contenere l’aumento delle temperature globali sotto i due gradi entro il 2100, ci ha messo praticamente un anno (4 novembre 2016) ad essere ratificato da un numero sufficiente di stati per poter entrare in vigore. Con la sottoscrizione dell’11 novembre 2016, l’Australia è il 104° paese su 196 a ratificare l’impegno sancito a Cap 21.

    Mentre i cambiamenti climatici dimostrano di avere sempre più fretta, noi continuiamo a mostrare un’invidiabile calma, quasi il problema non ci toccasse o riguardasse solo poche aree del mondo oramai compromesse in maniera irreversibile da un punto di vista ambientale.

    Nemmeno i ripetuti appelli del Papa trovano grande riscontro. Anche in occasione della Giornata per la custodia del creato Francesco ha ribadito con forza la necessità di prendersi cura urgentemente della nostra casa comune.Auspicando che si rafforzi l’impegno di tutti, istituzioni, associazioni e singoli cittadini, affinché sia tutelata la vita e la salute delle persone rispettando ambiente e natura. “Dobbiamo custodire il creato, poiché è un dono che il Signore ci ha dato, è il regalo di Dio a noi; noi siamo custodi del creato”.

    Ne deriva una sorta di obbligo morale per non danneggiare gli altri attraverso l’usura irreversibile di questo dono straordinario. Soprattutto le generazioni future e le persone più povere e deboli che abitano il mondo e che in esso trovano quanto di necessario per sostenersi e nutrire i propri figli.

    “Il modo in cui riusciremo a gestire i peggiori impatti dei cambiamenti climatici dipende dal lavoro che faremo nei prossimi dieci, cinque, anche due anni. Ognuno di noi deve agire sulla realtà della crisi climatica, in  modo che cessi il danno che infliggiamo alla nostra sacra terra e gli ecosistemi su cui tutta la vita dipende possano risanarsi.”*

    * Dichiarazione dei leader religiosi in occasione della prima riunione delle parti contraenti dell’accordo di Parigi (CMA1) durante la ventiduesima sessione della Conferenza della Parti (COP 22) – 10 novembre 2016

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    Una famiglia deve avere una casa dove abitare, una fabbrica dove lavorare, una scuola dove crescere i figli, un ospedale dove curarsi e una chiesa dove pregare il proprio Dio

    Giorgio La Pira