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La relazione tra medico e paziente nella buona sanità

    La relazione tra medico e paziente nella buona sanità

    Si è fatto un gran parlare, anche quest’estate, di sanità – sia a livello nazionale che regionale.

    Da un lato la spending review prevista dal decreto sugli enti locali con un pacchetto di misure per 2,3 miliardi nel 2015, altrettanti nel 2016 e nel 2017, il taglio delle visite specialistiche non necessarie, una stretta sui medici che per mettersi a riparo da eventuali vertenze giudiziarie, "elargiscono" con facilità analisi e controlli, la rinegoziazione dei contratti di acquisto di beni e servizi.

    Dall’altro la trasformazione della sanità regionale con la riduzione delle attuali 21 Ulss a solo sette, una per provincia, e la creazione di una “azienda zero” unificando e centralizzando in mano a un solo soggetto le funzioni di programmazione, attuazione sanitaria e socio-sanitaria, coordinamento, governance e gestione tecnico-amministrativa.

    Nel contesto generale, vanno senza dubbio riconosciuti i risultati positivi raggiunti dalla nostra Regione: anche l’ultimo bilancio è stato chiuso in attivo (più 4,3 milioni), l’agenzia di rating Moody’s e la Corte dei conti hanno dato il via libera (ma i magistrati invitano a tenere sott’occhio le Usl in cronico disavanzo come Venezia, Belluno, Verona e Padova) mentre gli analisti indipendenti dell’Agenas e della Scuola medica Sant’Anna di Pisa certificano l’alta qualità delle cure (ben 38 livelli essenziali di assistenza garantiti, tra cui i servizi domiciliari per i non autosufficienti, con un notevole afflusso di pazienti da fuori regione). Non è un caso che il Veneto sia stato scelto insieme all’Emilia Romagna e all’Umbria come Regione benchmark per l’individuazione dei costi standard da applicare poi in tutta Italia.

    Inoltre, va riconosciuto l’impegno di gran parte del personale impiegato in sanità che, con passione ed impegno, ogni giorno esercitano la professione tra carichi di lavoro significativi e difficoltà. Non è di poco conto la notizia che il dipartimento di Oncologia dell’Università statale di Milano, insieme all’Istituto dei tumori, Ieo, San Paolo, Policlinico e Niguarda, ha inserito fra le materie di studio l’”umanità”: una scuola dove si studia e si verifica sul letto del malato con l’umiltà dell’ascolto e la forza della comprensione. Guarda a loro, ma soprattutto alla medicina etica, il patto con il paziente, la presa in carico della persona malata nella sua interezza.

    E tuttavia in sanità non mancano alcuni nodi critici, oggetto di questa riflessione della Fap Acli di Treviso.

    NODI CRITICI

    L’approccio, anche culturale, tra paziente e curante è indispensabile: occorre avere pari dignità e condividere scelte e percorsi di cura.

    Dovremmo passare dalla logica che parcellizza il corpo umano in uno “spezzatino” di organi gestiti da super/specialisti, al ritorno all’essere umano nella sua interezza e fragilità, che deve essere accolto con rispetto ed educazione, ascoltato ed accompagnato nel percorso di malattia e di cura.

    I cittadini devono risiedere nei luoghi, quasi a presidio, in cui si decide. E non solo da uditori ma con pari possibilità ed opportunità di essere ascoltati e di produrre proposte. La partecipazione deve essere compiuta altrimenti è una medaglia senza valore!

    L’autoreferenzialità che permea il servizio sanitario costituisce un ostacolo: la valutazione della qualità dei servizi erogati non può essere fornita dagli stessi che li erogano. Nei Paesi avanzati questa partecipazione è considerata un aiuto importante per le istituzioni.

    Lo stesso rapporto tra i professionisti della sanità che, in alcuni casi, “non parlano tra di loro” amministrando e difendendo il proprio “orticello” allontanandosi dalla vita reale e dalle reali difficoltà dei pazienti è un altro tassello di un quadro da ricomporre.

    I cittadini sovvenzionano la sanità mediante la propria tassazione ed oggi ancor di più con sempre maggiori partecipazioni alla spesa di farmaci, esami e visite.

    Liste di attesa, ticket gravosi, disservizi, burocrazia e pianificazione/spersonalizzazione dei percorsi di cura minano il nostro servizio pubblico a favore, in qualche caso, del privato rischiando di indebolire o distruggere quello che è stata una delle maggiori conquiste acquisite dalla nostra comunità.

    Il coinvolgimento attivo del cittadino e paziente nei percorsi di cura ha per finalità quella di creare pratiche terapeutiche più sicure, tutti i giorni e con lo specifico profilo del singolo cittadino.

    Chiedere spiegazioni se ci sono dubbi o preoccupazioni, far conoscere le proprie abitudini, controllare i dati della propria salute, prendere nota dei indicazioni dei sanitari, capire bene la ragione e le modalità delle terapie da seguire contribuiscono al buon utilizzo del piano terapeutico per arrivare a raggiungere il beneficio della cura e della conseguente ripresa del proprio stato di salute.

    E su questo percorso si inserisce una fascia della popolazione che vive questi percorsi con maggiori difficoltà e minori difese dovute all’anzianità ed a quanto “produce” questa stagione della vita.

    Questa fascia della popolazione ha necessità di poter contare su specifici percorsi di cura che, proprio per l’anzianità, hanno diversi modalità e tempi per raggiungere la propria ripresa psico/fisica.

    Ed è su questo specifico profilo che vogliamo poter portare, come Fap Acli, la nostra attenzione assieme al nostro contributo di conoscenza e di esperienza sulla strada della nostra missione associativa.

    Un’attenzione che, nelle opportune sedi, non si attiva solo come ascolto ma, specificatamente, come motore attento e propositivo di indirizzo sulle scelte del le politiche socio/sanitarie.

    Franco Bernardi
    Segretario provinciale Fap Acli

     

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    Una famiglia deve avere una casa dove abitare, una fabbrica dove lavorare, una scuola dove crescere i figli, un ospedale dove curarsi e una chiesa dove pregare il proprio Dio

    Giorgio La Pira