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Buoni postali fruttiferi: facciamo il punto della situazione

Buoni postali fruttiferi: facciamo il punto della situazione

I rendimenti dei Buoni Postali Fruttiferi sono stati oggetto di una serie di sentenze di orientamento anche opposto.

La variazione degli interessi da parte di Poste Italiane rispetto a quanto previsto dai titoli trova fondamento normativo nel D.L. 460 del 1974 all’art. 173 (abrogato dal D.lgs. 284/1999), secondo il quale “le variazioni del saggio d'interesse dei buoni postali fruttiferi sono disposte con decreto del Ministro per il tesoro, di concerto con il Ministro per le poste e telecomunicazioni …hanno effetto per i buoni di nuova serie… e possono essere estese ad una o più delle precedenti serie".

Tale normativa ha trovato attuazione con il D.M. del Tesoro del 13 giugno 1986 che ha variato i tassi di buoni già emessi, disponendo anche per le serie di futura emissione.

La giurisprudenza ha pertanto confermato la legittimità della variazione dei tassi di interesse su titoli emessi a partire dal 1974 ma prima del giugno 1986 (Cass. S.U. 3963/2019).

Per i buoni postali fruttiferi trentennali della serie Q emessi nel 1988 stampati riportano nel retro una tabella con gli importi maturati (capitale + interessi) per i primi venti anni al lordo delle ritenute fiscali.

A sinistra della tabella vengono indicati i tassi di interesse stabiliti con D.M. del Tesoro del 13 giugno 1986 (8, 9, 10, 5,12%); nei titoli è inoltre riportata la dicitura: “I tassi sono suscettibili di variazioni a norma di legge. L’ammontare degli interessi è soggetto alle trattenute fiscali previste alla data dell’emissione”.

Dal ventunesimo al trentesimo anno gli stampati riportano dei rendimenti consistenti in un importo fisso maturato ogni bimestre; tuttavia gli importi maturati per gli ultimi dieci anni risultano, per un buono da 1.000.000 di lire di circa 719 euro in più (al netto della ritenuta fiscale) rispetto a quanto effettivamente riscosso da numerosi risparmiatori.

La differenza rispetto ai buoni emessi prima del giugno 1986 e per i quali la variazione dei rendimenti è stata ritenuta legittima è che i rendimenti non sono stati variati successivamente all’emissione del titolo, essendo già in vigore la normativa che prevedeva per gli ultimi 10 anni un tasso di interesse del 12%.

La Corte di Cassazione aveva già fatto luce su tale profilo affermando che “il contrasto tra le condizioni, in riferimento al saggio degli interessi, apposte sul titolo e quelle stabilite da D.M. che ne disponeva l’emissione, deve essere  risolto dando precedenza alle prime, essendo contrario alla funzione stessa dei buoni postali – destinati ad essere emessi in serie, per rispondere alle richieste di un numero indeterminato di sottoscrittori- che le condizioni alle  quali l’amministrazione postale si obbliga possano essere, sin da principio, diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all’atto della sottoscrizione del buono”. (Cass. civ. sez I Ord. 31.07.2017, n. 19002).

Sulla scia di tale orientamento la recente giurisprudenza, con una sentenza chiarificatrice, ha ribadito che la pubblica amministrazione ha la facoltà di variare i tassi in peggio purché le variazioni siano successive alla sottoscrizione dei buoni stessi.

Qualora venga sottoscritto un buono che rechi l’indicazione di un rendimento diverso e superiore rispetto a quello indicato stabilito dalla normativa entrata in vigore prima della sottoscrizione (giugno 1986) deve ritenersi che le parti abbiano raggiunto un accordo specifico in relazione alla misura dell’interesse ivi pattuito (Tribunale Benevento Sez. II, Sent. 10.01.2019); in tal caso dovrà essere corrisposto l’importo pattuito nel buono.

Silvia Illuminati

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