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Colf e badanti in nero? No, grazie

Colf e badanti in nero? No, grazie

Allo studio del Governo misure ad hoc dal 2020 per contrastare il lavoro nero e l’evasione fiscale e contributiva

La nostra società invecchia, rimane urgente il tema dell’assistenza delle persone anziane, per le quali il nostro paese ha di fatto scelto la delega alle famiglie e al mercato delle badanti. Tra tutte le questioni aperte, una richiede oggi particolare attenzione ed è la scelta, l’impegno, la necessità di regolarizzare una lavoratrice domestica. Ciò significa, di fatto, assumere l’impegno a rispettare gli obblighi previsti dalla legge: il versamento regolare dei contributi previdenziali, il riconoscimento di uno stipendio nel rispetto del contratto, la consegna di un cedolino paga, la compilazione e la consegna una certificazione unica per i redditi percepiti dal lavoratore.

I dati disponibili sono preoccupanti ed evidenziano che i contratti regolari in questo settore sono da qualche anno in costante diminuzione anche a causa della crisi economica. Secondo l’Istat (2017), il tasso di irregolarità degli occupati nel lavoro domestico è del 58,3%, (la media del tasso di irregolarità di tutte le attività economiche è del 13,5%). L’Inps inoltre stima in quasi 3,3 miliardi di euro i contributi evasi nel settore del lavoro domestico e di cura. A queste cifre si aggiungono quelle relative all’ evasione Irpef per mancate dichiarazioni dei redditi da parte delle lavoratrici.

I RISCHI DEL DATORE DI LAVORO …

Non regolarizzare a pieno il lavoro di una colf o di una collaboratrice familiare espone le famiglie a possibili sanzioni particolarmente onerose in quanto è per legge in capo al datore di lavoro l’obbligo della comunicazione dell’assunzione.

  • Per non aver comunicato l’assunzione (o per comunicarla in ritardo) alla direzione provinciale del lavoro è prevista una sanzione amministrativa che può variare da 200 a 500 euro.
  • Invece per non aver versato i contributi Inps sono previste sanzioni civili pari al 30% su base annua per ogni lavoratore. Questa viene calcolata sull’importo dei contributi evasi con un massimo del 60% ed un minino di 3.000 euro indipendentemente dal periodo lavorato. Ciò significa che anche per pochi giorni di lavoro in nero, il datore di lavoro potrebbe vedersi imputare una sanzione minima di 3.000 euro. Se invece il pagamento dei contributi avviene in ritardo ma non oltre i dodici mesi, le sanzioni sono limitate al 40% sull’importo dovuto. Il mancato versamento contributivo prevede anche la mancata iscrizione del lavoratore all’Inail, l’ente che subentra ad indennizzare il lavoratore in caso di infortunio occorso durante il rapporto di lavoro.
  • Se la collaboratrice che lavora in nero è extracomunitaria e si trova in Italia come irregolare (cioè non ha il permesso di soggiorno o ce l’ha scaduto), le sanzioni previste sono di €. 5.000per ciascun lavoratore oltre che alla prevista reclusione da 6 mesi a tre anni.

Le maxi sanzioni a contrasto il lavoro nero, previste dal d. lgs. 151/2015 - Jobs Act - non vengono invece applicate al settore del lavoro domestico.

Altri rischi inoltre si possono riscontrare se, avendo tenuto per un periodo una lavoratrice in nero, quest’ultima decidesse di far causa al proprio datore di lavoro e di richiedere il pagamento regolare delle sue prestazioni. La lavoratrice può esercitare questo diritto fino a 5 anni dopo la cessazione del rapporto di lavoro asserendo il mancato o incompleto versamento di stipendi, tredicesima, ferie, tfr, festività ecc. oltre naturalmente pretendere il versamento dei contributi previdenziali per il periodo lavorato.

… E DELLE LAVORATRICI

Nell’ambito di rapporti di lavoro irregolari le colf e badanti che, per ragioni prettamente economiche, accettano di erogare le loro prestazioni in nero, rinunciando anche alla copertura previdenziale ed assistenziale, non sono esenti dall’applicazione di sanzioni.

Questo può accadere, per esempio, qualora la lavoratrice che percepisce dallo stato italiano l’indennità di disoccupazione, per non perdere il beneficio, accetti di non regolarizzare un contratto di lavoro che le viene proposto. Altre ipotesi potrebbero essere collegate alla fruizione di benefici fiscali o assegni per il nucleo familiare che il lavoratore perderebbe se dovesse denunciare anche il suo reddito.

In questi casi si prefigura il reato di Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico-art.483 c.p - che prevede fino a due anni di reclusione, oltre alla perdita dell’indennità di disoccupazione e alla restituzione di quanto impropriamente percepito.

 CHE FARE?

Regolarizzare una collaboratrice familiare o una colf è senz’altro oneroso per le famiglie che non possono rinunciare ad un aiuto domestico o di assistenza continua per i propri cari. Non farlo però può comportare l’insorgere di situazioni molto complicate da gestire sia dal punto di vista economico che penale.

L’ideale sarebbe agire a livello legislativo e contrattuale affinchè risulti per le famiglie molto più conveniente assumere in regola le proprie collaboratrici che tenerle in nero. Si dovrebbe pertanto prevedere per il datore di lavoro una maggiore deduzione della parte contributiva dei contratti (oggi stabilita in un massimo di euro 1549,37 per ogni lavoratore) oltre che consentire maggiori detrazioni anche della parte retributiva che, tra l’altro, risulta essere la più onerosa. Oggi infatti, solo nei casi di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana, è possibile per il datore di lavoro, il cui reddito non supera euro 40.000, portare in detrazione nella propria dichiarazione il 19% di un massimo di 2.100 euro inerenti le spese sostenute per gli addetti all’assistenza personale.

Vedi sedi e orari degli sportelli colf in Acli Service Treviso

 

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