Balkan Route: l'indifferenza alle porte dell'Europa
"Ve lo ridico: se tentate di presentare la nostra operazione come un'invasione, apriremo le porte e vi invieremo 3,6 milioni di migranti", ha minacciato il presidente turco Erdogan, rivolgendosi all'UE, dopo aver lanciato l'offensiva contro il Nord della Siria.
I migranti di cui stiamo parlando sono uomini, donne e bambini, richiedenti asilo provenienti da paesi come Siria, Iraq, Afghanistan e Pakistan, che dalle coste turche tentano di sbarcare in Grecia, e da lì iniziano a risalire a piedi i Balcani per raggiungere l'Unione europea. Italia inclusa.
Silvia Maraone, cooperante e coordinatrice degli interventi lungo la Balkan Route per Ipsia (l'Ong delle Acli), si è trovata così ad affrontare un tema estremamente "caldo" e attuale nell'incontro di approfondimento sull'emergenza migratoria nei Balcani, organizzato il 10 ottobre alle Acli di Treviso.
Un'iniziativa che ha aderito alla campagna nazionale #IoAccolgo e che, dopo gli interventi nelle scuole sugli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile e sull'impatto delle migrazioni globali, va a chiudere il progetto "Giovani: nuovi narratori e attori della cooperazione allo sviluppo", avviato con la sede locale di Ipsia a Treviso e finanziato dall'Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo.
I migranti nei Balcani sono quintuplicati
Già oggi la "rotta balcanica" è percorsa da migliaia di persone, nonostante sia stata ufficialmente chiusa nel marzo 2016 da un accordo tra Bruxelles e Ankara, che si è impegnata ad impedire le partenze illegali in cambio di 6 miliardi di euro concessi dall'Ue.
Negli ultimi 3 anni, come spiega Silvia Maraone riportando dati e testimonianze dirette, "i Balcani occidentali si sono trasformati in un limbo dove decine di migliaia di individui sono rimasti bloccati, spesso in campi informali". Mentre laddove con fatica si istituiscono centri di transito, come in Bosnia Erzegovina e Serbia, gli standard dell'accoglienza si rivelano insoddisfacenti o comunque non in grado di fronteggiare i flussi sempre più consistenti.
Un reportage trasmesso il 4 ottobre da "Ominbus" su La7
Dal 2017 al 2018 il numero di migranti registrati nei Balcani occidentali è quintuplicato, superando quota 61.000. Dall'inizio dell'anno più di 21mila persone sono transitate solo in Bosnia Erzegovina, di cui almeno 5 mila si trovano bloccate a ridosso del confine croato, arrivando ad allestire un accampamento persino in un'ex discarica. Un'area che qualche mese prima la municipalità aveva giudicato inadatta per ospitare un canile. "Si calcola che oltre 24mila persone nel 2018 abbiano attraversato illegalmente i confini tra la Bosnia occidentale e la Croazia, all'altezza delle due cittadine di Bihać e Velika Kladuša", riporta Silvia Maraone.
Dai flussi, si nota anche come ad un calo di sbarchi sulla rotta del Mediterraneo centrale (solo in Italia 23.370 sbarchi nel 2018 contro i 119.369 dell'anno precedente) corrisponda un aumento dei traffici nel mar Egeo, con il passaggio da circa 35mila sbarchi in Grecia nel 2017 a oltre 50mila nel 2018. Secondo l'UNHCR solo ad agosto 2019 sono sbarcate 9.300 persone.
Le cause di questo "imbuto" sono molteplici: dal sistema di ricollocamento dalla Grecia all'interno dell'Ue che non funziona, alla chiusura pressoché totale delle frontiere ungheresi e croate. Filo spinato, barriere e pattugliamenti non dissuadono però uomini, donne e famiglie intere dal tentare il "Game", così come chiamano i migranti stessi il macabro "gioco" con le loro vite: decine di giorni a piedi, nascosti nei boschi, che spesso si concludono al punto di partenza. Respinti dai controlli di polizia. Fino al prossimo tentativo.
La dignità perduta
Le rotte delle migrazioni non fanno altro che sovrapporsi a quelle già esistenti usate per tutti gli altri traffici: eroina, oro, armi, prostituzione. I migranti come merce, e il "mercato" che risponde alla "domanda" di ingresso illegale in Europa.
Ma a chi non è rimasto abbastanza denaro per permettersi di rivolgersi a un trafficante, non resta altro che contare sulle proprie forze e qualche tracciato GPS sullo smartphone, correndo rischi ancora più alti e cercando di evitare i campi minati rimasti dalla guerra degli anni Novanta. La maggior parte delle morti accertate avviene per annegamento nei fiumi che attraversano quei territori e spesso tracciano i confini, 39 i morti registrati da gennaio a ottobre 2019. Senza poter contare però le vittime e gli incidenti che restano ignoti.
Una testimonianza di Silvia Maraone raccolta da east.italiansofeurope.it
Ciò che invece è documentato da più fonti e organizzazioni sono le violenze della polizia di frontiera croata. Da dicembre 2018 è inizia la missione Frontex dell'Ue sui confini di terra, a sostegno di Zagabria, tuttavia "si registrano casi di particolare violenza e respingimenti irregolari, pressoché sistematici e quotidiani, di decine di persone, tra cui donne e bambini, tanto che è stato dato il via a un'inchiesta del parlamento europeo", riporta Silvia Maraone. Cellulari – veri e propri mezzi di sopravvivenza, oltre che di collegamento con i propri cari – sottratti e distrutti, soldi rubati, zaini bruciati, pestaggi. "Accade anche che i migranti siano spogliati, lasciati letteralmente in mutande e senza scarpe, prima di essere rimandati indietro".
Anche sulla rotta balcanica, spesso ignorata dal dibattito pubblico, forse perché tristemente meno visibile e mortale degli sbarchi nel Mediterraneo centrale, si sta giocando la dignità e la vita di migliaia di persone. Dobbiamo esserne consapevoli. Per non restare indifferenti.
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