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Sulla Balkan Route, con migranti e volontari

    Sulla Balkan Route, con migranti e volontari

    Questo weekend sono atterrati in Serbia i primi volontari che parteciperanno alle attività di Ipsia nei campi profughi del Paese.

    Si tratta dei ragazzi e delle ragazze dei “Cantieri della solidarietà” promossi da Caritas Ambrosiana e Caritas Italiana, che insieme all'ong delle Acli e la Caritas locale serba, da due anni portano avanti attività di supporto psico-sociale per i migranti e gli operatori presenti nei centri di accoglienza.

    Qui Serbia

    Saranno realizzati 5 turni di due settimane: tre turni nel campo di Bogovadja, nei pressi di Valjevo, e due nel campo di Krnjača, a Belgrado. Per ogni turno si alterneranno 4-5 volontari che organizzeranno momenti di gioco e animazione con i bambini, sport e attività specifiche con teenager, minori non accompagnati e donne, affiancati dagli operatori locali di Caritas. 

    Inoltre, all'interno del Social Café #RefugeeWelcome, saranno proposte iniziative per tutta la popolazione del campo, oltre a gite e attività ricreative con donne e adolescenti

    Nel campo di Bogovadja, il numero medio di persone accolte è circa 160. “C'è stato un drastico crollo all'inizio del 2018, con l'apertura a primavera della cosiddetta rotta bosniaca”, spiega Silvia Maraone, operatrice di Ipsia nei Balcani, “ma si sta rivelando un altro collo di bottiglia. Tanti migranti che hanno cercato di lasciare la Serbia, nella speranza di raggiungere più velocemente l'Europa attraverso la Bosnia, si sono trovati bloccati in tanti campi informali”.

    “Tuttavia nell'ultimo mese i numeri si sono nuovamente alzati, la rotta balcanica di fatto non si è mai chiusa, e su una capienza totale di 200 persone ne accogliamo circa 130. In particolare la scorsa settimana sono arrivate 35 uomini, single men, soprattutto dall'Afghanistan, di cui 15 minori non accompagnati”.

    La minoranza fa richiesta di asilo in Serbia, mentre le altre persone sperano di poter risalire la rotta verso l'Europa. Le condizioni di vita e psicologiche a Bogovadja non sono pessime: “Svolgiamo parecchie attività, ma si vive in un contesto di attesa e di limbo: è comunque un mondo costruito sempre dalle stesse routine e dalle stesse dinamiche”, spiega Silvia Maraone. “Quindi ora più che mai ha importanza ha senso investire in interventi di animazione e supporto psico-sociale, come Ipsia e Caritas stanno facendo”.

    Qui Bosnia Erzegovina

    Nel frattempo, come accennato, non si ferma l'emergenza migranti nella confinante Bosnia Erzegovina, che nel 2018 ha visto crescere, con eccezionale intensità e rapidità, i flussi di rifugiati e richiedenti asilo all'interno del paese.

    Secondo le stime ufficiali fornite dalle Nazioni Unite – riporta Silvia Maraone – se a gennaio 2018 si erano registrati 237 ingressi, nei primi cinque mesi dell'anno almeno 5.290 migranti sono entrati in Bosnia.

    Un numero di persone che ha colpito inaspettatamente soprattutto la capitale Sarajevo e la regione nord-occidentale al confine con la Croazia. E che ha trovato impreparate autorità e istituzioni bosniache, con gli unici due centri di accoglienza ufficiali in tutto il paese già al limite della capienza. Senza contare i campi informali.

    “Solo in questi giorni il governo bosniaco sta trovando delle risposte con il supporto dell'UNHCR e dell'OIM per trovare degli alloggi”, spiega Silvia Maraone, “progettando la creazione di campi profughi e cercando appartamenti o piccole case per le categorie più vulnerabili”.

    Il flusso migratorio proviene da Serbia e Montenegro e si dirige verso i confini dell'UE, con i migranti che tentano di entrare in Croazia irregolarmente. 

    Il 50% delle persone registrate fino a questa primavera è costituito da donne e bambini, particolarmente vulnerabili. Critica è la situazione nella città di Bihać, dove è presente Ipsia: manca un'accoglienza adeguata – i migranti trovano ricovero in due strutture abbandonate – e ci sono difficoltà a garantire generi di prima necessità.

    Nell'ex dormitorio studentesco alla periferia della città, improvvisato in centro di accoglienza, Ipsia con la Croce Rossa cittadina e i volontari di One Bridge to Idomeni si impegna a distribuire quotidianamente cibo, vestiario, tende, coperte e materiale igienico-sanitario.

    Per acquistare il materiale da distribuire a Bihać e garantire lo svolgimento di queste attività di supporto, Ipsia ha attivato una raccolta fondi che è possibile sostenere a questo link.

    Nonostante ciò le condizioni di vita restano estremamente precarie, chiarisce Silvia Maraone: in un contesto di degrado generale, esposti alle intemperie come è accaduto nelle ultime settimane di forte pioggia, e con il rischio di un acuirsi delle tensioni tra i migranti, donne e bambini continuano a dormire in posti non sicuri e non adeguatamente sorvegliati.

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    Una famiglia deve avere una casa dove abitare, una fabbrica dove lavorare, una scuola dove crescere i figli, un ospedale dove curarsi e una chiesa dove pregare il proprio Dio

    Giorgio La Pira