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A Cornuda con i corridoi umanitari

    A Cornuda con i corridoi umanitari

    CORRIDOI UMANITARI: LA STRADA DELLA SPERANZA

    Forse possono sembrare solamente una goccia nell'oceano, per i numeri ridotti. Un migliaio di persone in tutto contro quasi un milione di arrivi in Europa nel 2015. Eppure i corridoi umanitari rappresentano, ad oggi, lo strumento che permette ai migranti di uscire dalla logica della clandestinità e di non rischiare di diventare le vittime del traffico o addirittura della tratta di esseri umani.

    Nati su iniziativa delle chiese evangeliche e valdesi in collaborazione con la Comunità di Sant'Egidio, prevedono il rilascio di mille visti ad altrettanti richiedenti asilo per venire in Italia e presentare domanda senza doversi sobbarcare il pericoloso e costoso viaggio in mare. I beneficiari vengono identificati in appositi uffici aperti in Marocco, Libano e da gennaio 2017 Etiopia (grazie al contributo di Caritas Italiana), scelti tra le categorie più vulnerabili - donne incinte, donne con bambini, disabili, anziani - e tra le nazionalità più segnate dalla guerre.

    DALLA SIRIA...

    A Cornuda, da un paio di mesi, vive una di queste famiglie. Siriani di Idlib, padre, madre e la figlia adolescente sono sbarcati a Fiumicino a metà dicembre. La loro "fortuna" è stata quella di avere un parente emigrato ancora negli anni Novanta a Roma; lui ha sentito parlare dei corridoi umanitari ed ha informato la famiglia che si trovava in condizioni assolutamente precarie.

    "Sono siriani di religione cristiana ortodossa, appartenevano al ceto medio di Idlib, erano piccoli imprenditori - mi racconta Gianni Sardelli, il presidente dell'associazione di Cornuda "Un ponte verso" che li ha accolti -. Nel 2015 una bomba è caduta sopra la loro testa, il marito è rimasto ferito. Così hanno deciso di spostarsi in un paese vicino, da parenti, dove comunque erano in corso violenti raid russi e la loro stessa vita era costantemente in perciolo". Con pudore non me lo dicono ma questa zona della Siria ha subito pesantemente negli ultimi anni la presenza dell'Isis che ha segnato le popolazioni con restrizioni di ogni genere, vessazioni e violenze, decapitazioni in piazza. Ad Idlib, bella cittadina di 120 mila abitanti prima dello scoppio della guerra, alla fine dello scorso anno era stato permesso il rifugio per i ribelli di Aleppo, salvo poi farli morire sotto una pioggia di bombe filogovernative. La città è, di fatto, diventata una delle ultime roccaforti di Al Quaeda.

    Nel giro di qualche mese questa famiglia riesce ad ottenere i documenti dall'ambasciata italiana in Libano. E a partire alla volta del nostro paese.

    ... FINO A CORNUDA

    Qui, ad accoglierli a Cornuda si è costituita l'associazione "Un ponte verso", nata dall'idea di alcuni amici di non girarsi dall'altra parte di fronte alle sfide delle migrazioni di oggi.

    "Da diverso tempo tra amici ci chiedevamo cosa si poteva fare, data la complessità del problema migratorio - spiega Gianpiero De Bortoli tra i fondatori dell'associazione e aclista di lungo corso -. Abbiamo conosciuto e approfondito le diverse esperienze di accoglienza presenti nel territorio e ci siamo chiesti quale poteva essere per noi la formula più congeniale". Un contesto di paese forse non avrebbe potuto offrire a giovani migranti le opportunità di inserimento che si trovano in centri più grandi. E la maggior parte dei volontari lavora, motivo per cui nemmeno l'accoglienza in casa appariva la soluzione migliore. "Abbiamo pensato che la presa in carico di una famiglia poteva essere più gestibile; condivisa l'idea con Sant'Egidio il resto è venuto da sé". Si sono dati un anno di tempo per aiutarli nel percorso di inserimento sociale e verso l'autonomia che poi significa lingua italiana, lavoro, scuola.

    "Da un gruppetto di pochi amici nel giro di qualche mese sono diventati più di 50 volontari, pensionati, insegnanti, gente "di chiesa" ed anche no - spiega Gianni Sardelli -. Ad ottobre abbiamo trovato un appartamento, lo abbiamo ritinteggiato ed arredato (al solo costo della pittura), e da dicembre accompagniamo questa famiglia: chi per i documenti da concludere, chi per le questioni ordinarie di spesa, chi nell'italiano. E chi "solo" per costruire relazioni di fraternità".

    L'associazione si autofinanzia; le persone cioè tirano fuori soldi dalle proprie tasche. In più la collaborazione con altre realtà del territorio permette di reperire risorse. "Siamo famiglie che accolgono una famiglia. Ciascuno di noi porta la ricchezza delle relazioni in cui è inserito, i legami e le possibilità, per costruire una rete che risolve, o perlomeno sopporta e prova ad alleggerire, le difficoltà. Questa esperienza ci sta permettendo di vivere la comunità, partendo dagli aspetti più pratici per condividete poi pensieri, valori, sogni".

    La figlia adolescente sogna di tornare a casa. Quando la guerra sarà finita vorrebbe rientrare. Lì ci sono ancora molti dei suoi amici, soprattutto i ventenni hanno un'età critica in tempi bellicosi. I genitori invece desiderano diventare autonomi, quanto prima. Sperano di imparare presto l'italiano e poi trovare lavoro. In segno di riconoscenza la moglie sta organizzando una cena per tutti i volontari. Cucina lei, piatti strettamente siriani.

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    Una famiglia deve avere una casa dove abitare, una fabbrica dove lavorare, una scuola dove crescere i figli, un ospedale dove curarsi e una chiesa dove pregare il proprio Dio

    Giorgio La Pira