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Prima il lavoro, di Andrea Citron

    Prima il lavoro, di Andrea Citron

    Apprezzo il documento dei nostri vescovi del Nord Est, per evidenti ragioni: il richiamo, mai scontato e sempre  motivo di impegno e responsabilità, al senso e al valore più alto del lavoro; l’invito a non vivere il cambiamento solo con paura ma piuttosto imparando a discernere e alimentando la speranza; l’attenzione sui giovani perché non siano vere vittime incolpevoli del futuro su cui ci incamminiamo; e la riflessione sul rapporto tra lavoro e denaro, indubbiamente la parte più stimolante della nota.

    Come Acli ribadiamo fin da subito la volontà di perseverare nell’impegno rilanciato al termine della nota alle associazioni laicali, per essere vicine ai lavoratori e capaci di interpretare ed accompagnare proprio i cambiamenti della società e del lavoro. In questi anni l’attività – anche in rete con altri soggetti – ci ha portato a conoscere, essere prossimi, orientare tante persone in situazioni di fatica per i tanti problemi collegati ad un lavoro sempre più precario, frammentato, per certi versi anche “incattivito”. Per questo sentiamo la pressante urgenza, di fronte a uomini e donne sempre più provati e in difficoltà, di ribadire che possiamo farcela, se sapremo abbattere le tante troppe iniquità, liberando il lavoro da una sorta di oppressione che lo ha ridotto a sola merce e fattore di immediata redditività. 

    Alla radice delle difficoltà italiane c’è la scelta di un intero sistema Paese, all’avvento del millennio, di rifugiarsi in più flessibilità per scommettere su costi più bassi: di fatto si è puntato a svalutare il lavoro laddove non si poteva più svalutare la moneta. Il problema non è stato solo l’assenza di una flexsecurity, cioè di necessarie politiche attive, ammortizzatori per tutti ecc… Rifugiarsi nella scorciatoia del lavoro precario, invece di puntare di più sull’innovazione, sull’integrazione tra aziende e  con lavoratori e istituzioni, sull’internazionalizzazione, ha portato tre esiti negativi.

    1. Il primo è una minore innovazione della nostra economia, con investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo lontanissimi dalle medie europee, e lavoro dequalificato.
    2. Il secondo riguarda le generazioni di trenta quarantenni che non hanno figli e non investono perché senza lavoro stabile, determinando  così un clima generale di paura e sfiducia.
    3. Per terzo, l’arretratezza del nostro settore dei servizi, che rappresenta la vera palla al piede della nostra economia: qui si è speculato molto sulla flessibilità, raccogliendo così minore qualità e competitività e dunque minore capacità di attrazione del sistema Italia.

    La crisi aggrava queste situazioni ma non può essere usata come un alibi. Le politiche del lavoro devono porsi, in tal senso, alcuni intenti importanti, cominciando dall’esigenza di fare chiarezza e di far uscire dalla straordinarietà e rendere stabili e universali gli ammortizzatori, le tutele, le politiche attive del lavoro, l’individuazione di un salario minimo laddove non ci sono le coperture contrattuali, la conciliazione, la semplificazione delle norme e la riduzione di troppi contratti flessibili; nonché una riapertura a misure che consentano di ridistribuire il lavoro che c’è, così come avviene in altri paese, soprattutto a favore dei giovani, per esempio con il part-time verso la pensione e il part-time di ingresso al lavoro e con la detassazione per l’assunzione dei giovani.

    In questa prospettiva va inserito anche l’incontro tra scuola e lavoro, per preparare realisticamente ed accompagnare le persone nella vita lavorativa, rivalutando sia il ruolo strategico della specializzazione che dei mestieri manuali. La formazione professionale è particolarmente attiva e significativa nel nostro territorio, non ultimo con la proposta di legge di iniziativa popolare, proprio per il suo ruolo fondamentale sul fronte del contrasto alla dispersione scolastica, nonché di "fucina" di competenze aggiornate e qualificate, così vitali per le nostre imprese.

    Adriano Olivetti, che vedeva nella qualità della vita del territorio e della condizione dei lavoratori, insieme, il fine e il presupposto della bellezza e della creatività dei suoi prodotti. E inventò il primo computer al mondo. Prima di morire prematuramente stava immaginando come dividere la proprietà dell’azienda in parti eguali tra famiglia, comunità, università e lavoratori. Abbiamo ancora da imparare, dal meglio della nostra Italia e dei suoi migliori rappresentanti.

    Andrea Citron
    Presidente provinciale Acli

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    Una famiglia deve avere una casa dove abitare, una fabbrica dove lavorare, una scuola dove crescere i figli, un ospedale dove curarsi e una chiesa dove pregare il proprio Dio

    Giorgio La Pira